Stem olfattive come modello di disfunzioni
nella schizofrenia
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 15 giugno 2024.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La schizofrenia, ossia il più grave dei disturbi psicotici la cui
eziopatogenesi a forte componente genetica espressa attraverso un disturbo
pervasivo dello sviluppo neuroevolutivo comincia a chiarirsi, rimane una delle
maggiori sfide della clinica psichiatrica e il più indagato disturbo
neuropsichico dell’adulto. L’intensità della ricerca di questi giorni si spiega
sia col rilievo epidemiologico e clinico, in quanto sembra interessare quasi l’1%
della popolazione mondiale e costituisce una delle maggiori cause di disabilità
mentale, sia con la convinzione che ci stiamo avvicinando sempre più alla possibilità
di giungere a scoperte decisive per un radicale cambiamento nell’approccio
terapeutico e nel miglioramento della prognosi.
La scorsa settimana abbiamo recensito uno studio che ha definito l’alterazione
della regolazione dell’espressione di EAAT2 nella corteccia prefrontale dorso-laterale[1], fornendo un nuovo elemento
per la comprensione della disfunzione dei sistemi glutammatergici, oggi ci
occupiamo della ricerca finalizzata a definire le caratteristiche
diacritiche nei neuroni del sistema nervoso centrale che consentano
di distinguere le persone affette da psicosi schizofrenica da quelle che
sviluppano deliri, allucinazioni e altre manifestazioni cliniche simili a
quelle schizofreniche ma su una base neuropatologica differente, con una
prognosi migliore.
Carlo Idotta, Anna Maria Brunati e numerosi colleghi hanno
indagato a questo scopo cellule neurali staminali/progenitrici derivate dal
neuroepitelio olfattivo, giungendo a risultati di sicuro interesse.
(Idotta C. et al., Neural stem/progenitor cells from
olfactory neuroepithelium collected by nasal brushing as a cell model
reflecting molecular and cellular dysfunction in schizophrenia. The World Journal of Biological Psychiatry – Epub ahead of print doi: 10.1080/15622975.2024.2357096, June 13 (1-13), 2024).
La provenienza
degli autori è la seguente: Dipartimento di Medicina Molecolare, Università di
Padova, Padova (Italia); Dipartimento di Neuroscienze e Riabilitazione,
Istituto di Psichiatria, Università di Ferrara, Ferrara (Italia); Facoltà di Medicina
e Chirurgia, Università di Milano Bicocca, Milano (Italia); Dipartimento di
Otorinolaringologia, San Bortolo Hospital, ULSS 8 Berica, Vicenza (Italia);
Dipartimento di Biologia, Università di Padova, Padova (Italia); Department of
Molecular and Cell Biology, University of California at Berkeley, CA (USA); dipartimento di Neuroscienze, Università
di Padova, Padova (Italia); Centro di Neuroscienze di Padova, Università di Padova,
Padova (Italia).
Come abbiamo
fatto la settimana scorsa e ancora di recente[2], cogliamo l’occasione di questa recensione, sia per
introdurre il lettore non specialista agli aspetti essenziali della clinica e
della neuropatologia, sia per integrare queste nozioni con alcuni aggiornamenti
non ancora inclusi nei manuali di clinica psichiatrica. Parte dei brani
riportati di seguito sono stati citati da Giovanni Rossi in Note e Notizie 09-03-24
Infiammazione nella patogenesi della schizofrenia; mentre si è scelto di
non riportare gli aggiornamenti di genetica più recenti, per i quali si rimanda
a due studi presentati in aprile[3]; più avanti, in questo testo, si danno le indicazioni
per introdursi alla genetica e alla genomica della schizofrenia.
“L’approccio
clinico alla schizofrenia o psicosi schizofrenica prevede la
ripartizione delle manifestazioni in tre gruppi di segni e sintomi: positivi,
negativi e cognitivi. I sintomi positivi, ovvero produttivi,
e in particolare deliri e allucinazioni, sono i più sensibili ai trattamenti con
farmaci antipsicotici. Al contrario, i sintomi negativi, espressione di
deficit funzionali, quali povertà di linguaggio, negativismo, anedonia, anaffettività,
perdita di motivazione e riduzione della reattività emozionale, insieme con un deficit
cognitivo progressivo, sono i più resistenti al trattamento, in quanto non
possono giovarsi dell’effetto dei farmaci attualmente in uso, che tendono a
ridurre l’eccesso funzionale dopaminergico o a riequilibrare altri
neurotrasmettitori, ma non possono surrogare funzioni deficitarie”[4]. Le basi neurofunzionali dei sintomi al livello di
sistemi neuronici sono studiate mediante fMRI, riportando le funzioni alterate
alle tre reti cerebrali principali DMN (default mode network),
CEN (central executive network), SN (salience
network); ma questo tipo di studi
ha evidenziato alterazioni in tutte e tre le reti e nelle loro interazioni in
tutti i casi di schizofrenia.
Chi voglia
introdursi alla neurobiologia del disturbo può leggere: Note e Notizie
16-09-23 Appunti di neurobiologia della schizofrenia; per la genetica: Note
e Notizie 23-09-23 Appunti di genetica della schizofrenia; Note e
Notizie 21-10-23 Genomica della schizofrenia e sue implicazioni.
A
proposito della patogenesi: “La patogenesi della schizofrenia rimane
ancora indefinita, nonostante si siano acquisite nel campo della fisiopatologia
nozioni estese dall’ambito neurochimico a quello strutturale, dal livello
sinaptico a quello delle grandi reti neuroniche dell’encefalo. La stessa
genetica che, dal tempo delle analisi di associazione del Psychiatric GWAS Consortium
Coordinating Committee (2009) si è arricchita di una
quantità enorme di dati sui geni di rischio, non ha fornito le indicazioni dalle
quali si sperava di ricavare la ratio di processi paradigmatici per l’eziopatogenesi
di alterazioni probabilmente eterogenee in termini molecolari, cellulari e di
sistemi neuronici, ma accomunate clinicamente da alcuni capisaldi
sintomatologici.”[5]
Per
inquadrare le nuove nozioni nell’evoluzione della concezione della schizofrenia:
“La schizofrenia, che interessa l’1%
della popolazione mondiale, costituendo una delle maggiori cause di disabilità
mentale, è la più grave delle alterazioni psichiche che accompagnano l’intera vita
di un paziente psichiatrico, dall’esordio in età giovanile o all’inizio dell’età
adulta fino alla morte, di dieci anni più precoce della media nella popolazione
generale. La concettualizzazione di questo disturbo come malattia delle mente si
deve al grande nosografista tedesco Emil Kraepelin che, prendendo le mosse dal
caso di uno studente brillante diventato inabile per i compiti cognitivi più
semplici dopo la comparsa dei sintomi, identificò un piccolo gruppo di pazienti
con un simile decorso caratterizzato dalla perdita dell’intelligenza e, per
questo elemento che gli parve caratterizzante, propose la definizione
diagnostica di demenza praecox.
Era dunque ben presente l’aspetto
relativo al limite cognitivo, poi per decenni trascurato, soprattutto per l’influenza
delle teorie psicodinamiche sulla genesi del disturbo, che attribuivano a
conflitti inconsci lo sviluppo di un funzionamento mentale aberrante e non all’alterazione
del fondamento neurobiologico cerebrale, necessario anche per i più elementari processi
di estrazione di significato dai messaggi verbali, oltre che per induzione,
deduzione, riconoscimento di nessi di causalità e vincoli condizionali.
Lo stesso Eugen Bleuler[6], che introdusse il termine “schizofrenia” per indicare la frequente scissione
(schizo-) nello psichismo e, in particolare, la separazione del tono affettivo
ed emotivo dalla cognizione espressa nella comunicazione, aveva ben presente il
difetto intellettivo che peggiorava col progredire della malattia.
A quell’epoca, l’opinione degli
psichiatri era concorde nel ritenere questo quadro psicopatologico la
conseguenza di una malattia del cervello con una forte base genetica, e caratterizzata
da un processo patologico che si supponeva diffuso nel parenchima cerebrale,
con particolare compromissione della corteccia, ritenuta la base dei processi
intellettivi. L’unica possibilità esistente a quel tempo di studio del cervello
consisteva nell’osservazione necroscopica e nel prelievo autoptico di campioni
di tessuto cerebrale, per lo studio istologico.
Gli stessi padri fondatori della
neuropatologia, Nissl, Alzheimer e Spielmeyer, condussero ricerche istologiche post-mortem
sul cervello di pazienti schizofrenici, descrivendo apparenti alterazioni che
si rivelarono incostanti e non caratterizzanti[7]. In particolare, nel 1897 Alzheimer segnalò una scomparsa locale di
cellule gangliari negli strati esterni della corteccia cerebrale; Klippel e Lhermitte
(1906) descrissero zone di demielinizzazione focale, il cui reale valore di
reperto istopatologico fu contestato, molto tempo dopo, da Adolf Meyer e poi da
Wolf e Cowen. Anche Buscaino in Italia (1921), capostipite di una famiglia di
neurologi illustri, compì studi neuropatologici sulla struttura del cervello
schizofrenico, descrivendo formazioni a grappolo, che si rivelarono poi artefatti
di preparazione del tessuto. Josephy (1930) descrisse una sclerosi cellulare e
una degenerazione grassa degli strati corticali, che non trovarono riscontro in
altri studi. Bruetsch, nel 1940, credette addirittura di aver rinvenuto dei focolai
reumatici nell’encefalo psicotico; sicuro della bontà e significatività del reperto,
postulò un ruolo eziologico per la febbre reumatica.
Nel 1952 Winkelman riscontrò nel
cervello schizofrenico una perdita diffusa di neuroni, ma furono sollevati dubbi
circa la significatività del reperto che si ritenne potesse essere stato generato
dalle procedure istologiche impiegate. Allora, nel 1954, Cécilie e Oskar Vogt[8], per superare questo problema, allestirono uno studio che prevedeva un’accurata
indagine seriale degli emisferi cerebrali mediante sezioni sottili dello spessore
di 8 μ in uno studio controllato, in cui i reperti istologici dei cervelli
dei pazienti erano comparati con identiche sezioni del cervello di persone non affette
da psicopatologia e decedute per cause non cerebrali alla stessa età. I Vogt
trovarono in tutti i cervelli schizofrenici alterazioni assenti nei cervelli sani,
anche se la localizzazione, l’aspetto istologico e la densità variavano da un
caso all’altro. I tre reperti principali dei Vogt furono cellule colliquanti (Schwundzellen),
degenerazione vacuolare e liposclerosi.
Negli ultimi decenni, dopo oltre
cinquanta anni durante i quali la concezione neuropatologica della schizofrenia
è stata abbandonata in luogo di teorie eziologiche psicoanalitiche, relazionali
e comportamentali, si è tornati su più solide basi, fornite dalle metodiche di
neuroimmagine, dalla nuova genetica e dalle scoperte di neurobiologia
molecolare e neurochimica, a concepire le psicosi schizofreniche come conseguenza
di alterazioni del cervello[9]. Dalle differenze nel metabolismo cerebrale, nell’espressione dei
recettori, nelle dinamiche sinaptiche, negli equilibri fra sistemi neuronici, nelle
funzioni degli astrociti, fino a quelle emerse dallo studio delle connessioni secondo
i metodi del campo specializzato della connettomica, si dispone di un’imponente
raccolta di dati che individua le basi cerebrali di una fisiopatologia, che non
potrebbe essere spiegata nei termini obsoleti della ‘reazione maggiore’,
contrapposta alla ‘reazione minore’ costituita dai disturbi d’ansia”[10].
In passato
abbiamo affrontato il problema allora emergente dell’alterazione della funzione
talamica nella schizofrenia[11]/[12].
A
proposito dell’aver a lungo trascurato in psichiatria i sintomi cognitivi, in
parte coincidenti con alcuni sintomi negativi della schizofrenia, due anni fa si
osservava:
“La
cultura che voleva caratterizzare anche la distinzione fra la neurologia, come
la branca medica che si occupa di ictus, epilessie, tumori, traumi cerebrali, e
così via, e la psichiatria, che si occupa di ansia, fobie, attacchi di panico,
depressione e disturbi con deliri e allucinazioni, sollecitava l’attenzione sui
sintomi “propriamente psichiatrici” della schizofrenia, perché non si cadesse nell’errore
di considerarla una “demenza precoce” come era accaduto nell’Ottocento. Probabilmente,
questa enfasi eccessiva ha portato a trascurare per molto tempo la
considerazione e lo studio sistematico dell’indebolimento cognitivo”[13].
In
realtà, nella clinica psichiatrica del disturbo schizofrenico si distinguono sintomi
positivi, quali deliri
e allucinazioni, sintomi negativi, come
l’anaffettività e il negativismo, e sintomi
cognitivi, quali disorganizzazione del pensiero, linguaggio soggettivo o inappropriato,
deficit di attenzione e memoria, senza contare le frequenti stereotipie di moto.
Per introdurre
alle interpretazioni neuroevolutive dei sintomi della schizofrenia correntemente
adottate dagli psichiatri, mi rifaccio a un articolo di Rossi del 20 marzo 2021[14]:
“Due anni fa ho ricordato un modello
neuroevolutivo della schizofrenia[15] attualmente oggetto di insegnamento in molte facoltà mediche di tutto il
mondo e proposto per la prima volta da Keshavan nel 1999: durante l’embriogenesi
noxae evolutive portano alla displasia
delle strutture costituenti alcune specifiche reti neuroniche, causando in tal
modo i segni premorbosi cognitivi e psicosociali; durante l’adolescenza,
un’eccessiva eliminazione di sinapsi determina un’iperattività dopaminergica
fasica e precipita la psicosi. Keshavan nota che, dopo la manifestazione clinica
della malattia, le alterazioni neurochimiche possono condurre a processi
neurodegenerativi.
Il motivo del successo di questo
modello è dato dal ‘sostegno’ ricevuto da numerose evidenze sperimentali. In realtà,
si tratta di una ricostruzione ragionevole e coerente con i dati dai quali è
stata desunta, e nulla esclude che sia corretta; tuttavia rimane troppo generica
rispetto all’esigenza di capire perché e come le ‘noxae’ causino una
displasia responsabile di quei sintomi precoci e perché si determini una
perdita di sinapsi che causa iperfunzione dopaminergica[16]”[17].
Le cellule progenitrici/staminali nervose derivate dal neuroepitelio
olfattivo (ONSPC) stanno emergendo come uno strumento valido e insperato per
indagare al livello cellulare la natura biologica di molti fra i disturbi che
gli psichiatri del Novecento annoveravano nella “grossa psichiatria”. Carlo Idotta e colleghi
hanno scelto di adottare questo strumento per accertare la possibilità che le
cellule ONSPC presentino caratteri molecolari e/o cellulari caratterizzanti, se
non in grado di fungere da biomarker o da elementi diacritici per la
diagnosi differenziale dei disturbi schizofrenici.
Lo studio è
stato condotto raccogliendo ONSPC da 19 pazienti, ricoverati in reparto
psichiatrico e diagnosticati di disturbo schizofrenico, e da 31 volontari non
affetti e fungenti da gruppo di controllo. Le cellule sono state propagate in
un medium basale. Sono stati esaminati i seguenti parametri, considerati da
studi precedenti alterati nella schizofrenia: 1) produzione di ATP mitocondriale;
2) espressione di β-catenina; 3) proliferazione cellulare. I
tre parametri sono stati indagati nelle ONSPC di fresco isolate o in ONSPC nuovamente
scongelate dopo pochi passaggi colturali.
Le ONSPC dei
pazienti schizofrenici, rispetto a quelle delle persone non affette, presentavano
una più bassa produzione di ATP mitocondriale e insensibilità agli
agenti capaci di agire negativamente o positivamente sull’espressione di β-catenina.
Per quanto riguarda la proliferazione, nelle cellule provenienti dai
pazienti schizofrenici declinava significativamente al crescere del numero di
passaggi in coltura, mentre le equivalenti del gruppo di controllo mostravano
un livello di crescita stabile.
Gli autori
dello studio concludono che, la semplice e sicura raccolta di campioni di
cellule ONSPC per verificare le tre caratteristiche differenziali da loro
accertate, potrebbe costituire un nuovo approccio per lo studio su grandi
popolazioni di pazienti e controlli di elementi distintivi che contribuiscano
alla comprensione di meccanismi fisiopatologici della schizofrenia. Noi
aggiungiamo che questo metodo, se studi ulteriori confermeranno la
significatività dei dati rilevati e ne aggiungeranno di nuovi, potrebbe
diventare un prezioso strumento di diagnosi differenziale.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-15 giugno 2024
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presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio
2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] Note e Notizie 08-06-24 EAAT2
nella corteccia PFDL degli schizofrenici.
[2] Note e Notizie 18-05-24
Amigdala e sua covarianza nella schizofrenia.
[3] Si vedano: Note e Notizie 27-04-24
Espressione genetica corticale e rapporti con autismo e schizofrenia; Note
e Notizie 20-04-24 Determinanti genetici condivisi tra autismo e schizofrenia.
[4] Note e Notizie 18-11-23 Reti alterate nella schizofrenia con sintomi negativi
persistenti.
[5] Note e Notizie 04-03-23 Il deficit di recettori H2 nella patogenesi della
schizofrenia.
[6] Sulla storia delle origini della
diagnosi di schizofrenia e sull’evoluzione del concetto in psicopatologia vi sono
numerosi riferimenti negli scritti pubblicati nelle “Note e Notizie”; nella
sezione “In Corso” sotto il titolo “La concezione dei disturbi mentali nella storia”
si può leggere una cronologia che, in brevissime sintesi concettuali, elenca l’evoluzione
che si è avuta nel concetto di malattia mentale dalle prime tracce scritte, risalenti
al 3400 a.C., fino ai giorni nostri.
[7] Le nozioni storiche riportate di
seguito sono tratte da una relazione del nostro presidente; per le indicazioni
bibliografiche complete si veda in Silvano Arieti, Interpretazione
della Schizofrenia, in 2 voll., Feltrinelli, Milano 1978.
[8] Ai coniugi Vogt è intitolato un
istituto di ricerca nel quale è esposta un’interessante collezione di cervelli.
Oskar Vogt divenne celebre per lo studio del cervello di Lenin, nel quale
rilevò cellule piramidali giganti della corteccia di dimensioni notevolmente
superiori alla media.
[9] Sicuramente una parte non
trascurabile in questa evoluzione l’hanno avuta i numerosi istituti di ricerca
che hanno dedicato le proprie attività alla ricerca di correlati neurobiologici
dei disturbi mentali e le riviste, come Molecular Psychiatry, che hanno
consentito la diffusione della conoscenza di risultati che hanno modificato dei
punti di vista che resistevano da decenni.
[10] Note e Notizie 16-11-19
Trattamento cognitivo della schizofrenia. Si veda anche: Note e Notizie 07-12-19
Differenze in S100b tra persone affette da schizofrenia.
[11] Note e Notizie 17-03-21
Alterata funzione del talamo nella schizofrenia.
[12] Note e Notizie 03-07-21 Talamo
anteriore nei difetti cognitivi di autismo e schizofrenia.
[13] Note e Notizie 27-02-21 Il
deficit cognitivo della schizofrenia è legato alla disbindina. Si veda
anche lo studio maggiore sui rapporti fra geni associati alla schizofrenia e
volume delle aree cerebrali sottocorticali: Note e Notizie 20-02-16 Influenze genetiche su schizofrenia e volume
sottocorticale. Per i rapporti con la morfologia si veda anche: Note e Notizie 21-11-15 Nella schizofrenia
la normale asimmetria emisferica è ridotta e alterata e Note e Notizie 14-02-15 Segni di schizofrenia che precedono i sintomi
per una diagnosi precoce.
[14] Note e Notizie 20-03-21
Patogenesi della schizofrenia da splicing alternativo. Per questa patogenesi
si legga il testo integrale dell’articolo.
[15] Note e Notizie 16-02-19 Nella
schizofrenia la microglia riduce le sinapsi.
[16] È evidente la costruzione
deduttiva da dati e inferenze precedenti. Quando è stato proposto il modello, il
campo di studi della fisiopatologia della schizofrenia era ancora dominato dall’ipotesi
dell’iperfunzione dopaminergica, desunta dall’azione anti-dopaminergica di fenotiazinici,
butirrofenonici e altri neurolettici di prima generazione efficaci nel ridurre
deliri e allucinazioni degli schizofrenici. Negli ultimi venti anni si è
consolidata l’evidenza della partecipazione di tutti i sistemi trasmettitoriali
alla fisiopatologia, con una prevalenza di interesse anche farmacologico per i
sistemi neuronici a segnalazione glutammatergica.
[17] Note e Notizie 20-03-21
Patogenesi della schizofrenia da splicing alternativo.